mercoledì 16 novembre 2016

Recensione "Il figlio del drago" di Stefano Mancini

Recensione "IL FIGLIO DEL DRAGO" di Stefano Mancini

E niente. Ci sono quei libri di cui hai tanto sentito parlare, di cui hai letto recensioni e commenti, che hai evitato di comprare su internet perché volevi comprarli di persona, perché sapevi che l'autore sarebbe stato a Lucca Comics e volevi salutarlo e comprarli autografati. Perché, a pelle, sentivi che quel libro ti sarebbe piaciuto. Alla fine ho aspettato un anno per leggerlo, perché non avevo tempo, altri libri si sono accumulati, e il blog da sistemare, articoli da scrivere, i miei racconti e romanzi da portare avanti e, ahimé, una progressiva perdita di simpatia, a livello personale, verso il genere epic fantasy. Poi, finalmente, la lettura di "Il figlio del drago" è iniziata. E meno male! ;)


"Nessuno, nemmeno gli dei, dall'alto della loro consapevolezza possono prevedere il futuro. Per farlo bisognerebbe influenzare il libero arbitrio delle persone. Ma nessuno ne è in grado. E poiché ogni persona è libera di agire come vuole esistono così tante variabili possibili che nessuno può indovinare quella che alla fine si realizzerà."
A titolo informativo, "Il figlio del drago" (come indicato in questo articolo) è il secondo libro della trilogia epic fantasy di Stefano Mancini, cronologicamente successivo a "Le paludi d'Athakah" e seguito da "Il crepuscolo degli Dei". Sono tutti editi da Linee Infinite. Devo dire, però, che io non ho ancora letto "Le paludi d'Athakah" ma, come mi aveva consigliato l'autore, sono partito direttamente da questo volume e non ho avuto alcun problema, la lettura è stata scorrevole e agevole e i fatti del libro precedente (ambientato molti anni prima, secoli persino) sono stati citati qua e là. Diciamo che, per quanto si tratti di una saga, sia il primo che il secondo volume sono fruibili anche da soli. Per la lettura del terzo, invece, è necessario quantomeno aver letto il secondo.

Di cosa parla "Il figlio del drago"? Racconta la (prima) grande guerra combattuta tra elfi e nani, due razze che vivono nel Laomedon e che hanno raggiunto il massimo della prosperità, l'apice dei propri imperi. Sconfitti i musogrigio e le ambizioni degli uomini, sia elfi che nani hanno potuto prosperare in pace, finché, in occasione di alcuni giochi sportivi organizzati nella città di Iirn, uno screzio tra le due razze ha rovinato la bella atmosfera. Entrambi guidati da sovrani orgogliosi, si sono rifugiati nei loro regni, pretendendo scuse e rispetto da parte dell'altro popolo, senza sforzarsi nel concederlo, finché, a parte poche coraggiose voci di pace, i sovrani e la loro cerchia ristretta non sono giunti a invocare addirittura la guerra. E la guerra è arrivata. Non una guerra lampo, come si sarebbe aspettato Kalanath Lathlanduryl, il re degli elfi, bensì una lunga e logorante guerra.
"Nell'istante in cui prendiamo una decisione, abbiamo già cominciato a cambiare il nostro destino".
I protagonisti di questa guerra, e del romanzo, sono gli elfi della famiglia regnante: Kalanath, il sovrano (che mi ha quasi fatto rimpiangere Joffrey Baratheon da tanto che è "simpatico") altezzoso e guerrafondaio, ha disperatamente voluto questa guerra per affermare la superiorità dei ryn (elfi) sui nani e, per estensione, sull'intero Laomedon; il fratello Aethorn, ben più posato e intelligente, che va a cercare i draghi e trova un amico e un compagno di battaglie nel drago Xakaagontalyr (è lui il figlio del drago, del titolo); e poi Aethalas, figlio del governatore di Iirn, un animo buono, colpevole di aver voluto proteggere il suo re da se stesso e, per questo, superbamente punito da Kalanath e costretto a fuggire. Sempre tra gli elfi, ricoprono un ruolo importante Jyrien, il vecchio saggio, uno dei pochi che ha cercato di opporsi alla guerra per rispetto alle vecchie amicizia; lo studioso Odhemis, e il governatore Erendil, padre di Aethalas. Tra i nani spiccano le figure di Thorsen e Drogo, i due sovrani (sì, è una diarchia, un elemento decisamente originale) del popolo nanico, dei loro figli e di Thord Ascialunga, l'amico di Jyrien. 

Il romanzo ha un campo d'azione molto largo, visto che la storia spazia dalle montagne di Thorgni alla città di Iirn, nell'Athakah, fino alla terra dei draghi, alla città portuale di Lys e ad altre località del Laomedon. Bellissima la mappa, a inizio libro, che offre una bella visuale del continente. Se da un lato, questo, strizza l'occhio alla tradizione più classica del fantasy epico (chi ha detto Tolkien?), dall'altro l'autore dimostra di sapersene allontanare (Tolkien, ad esempio, non era certo un grande amante delle battaglie, e infatti ne ha descritte nel dettaglio ben poco), non soltanto regalandoci un violentissimo conflitto tra nani e elfi (degno dei peggiori momenti della Prima Era, narrati nel Silmarillion!), con personaggi concreti e interessanti, ma aggiungendo anche piccoli elementi originali, come la presenza di draghi (adoro i draghi! Ne voglio di più), una terminologia inedita (ryn, per indicare gli elfi; i musogrigio, per gli orchi), una propria cosmogonia e mitologia (sia elfi che nani hanno i loro Dei) e un'aura di mistero su alcuni fatti. La morte di Re Aurelien, padre di Kalanath, ad esempio. Che qualcuno l'abbia assassinato?

Lo stile è scorrevole, la lettura piacevole, siamo nettamente sopra la media degli scrittori emergenti italiano di fantastico, non solo come creatività, ma anche come capacità di creare un mondo complesso ma coerente, solido e veritiero per chi legge, oltre che un'ottima padronanza dell'italiano. Sottolineo che il romanzo ha un finale apertissimo, infatti la guerra giungerà a conclusione soltanto nel libro successivo "Il crepuscolo degli Dei", che non vedo l'ora di iniziare. Per cui, se amate le belle storie fantasy di battaglie e avventure, volete leggere di elfi e nani che se le danno di santa ragione, farvi trascinare dai loro complotti, "Il figlio del drago" è il libro che fa per voi. Alla prossima!

"La grandezza dei sogni è che non hanno confini".




2 commenti:

  1. Ho amato questo libro e lo sto consigliando a tutti gli amanti del genere!
    A discapito di Brooks e Tolkienn, che si differenziano tra molti in quanto spesso (ahimé) prolissi nelle descrizioni e nei viaggi, Mancini ha uno stile frizzante, fresco e tutt'altro che noioso, capace di descrivere battaglie campali con una facilità estrema..
    Anche io ho iniziato dal 'secondo', e non vedo l'ora di proseguire la saga.. *__*

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  2. Sembra interessante! Adoro il fantasy, anche se ultimamente i libri pubblicati mi sembrano a grandi linee tutti uguali... Proverò a darci un'occhiata!

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