martedì 5 dicembre 2017

Recensione "Il mulino dei dodici corvi" di Otfried Preussler

Recensione "Il mulino dei dodici corvi" di Otfried Preussler

“Il mulino dei dodici corvi” è un romanzo fantastico dello scrittore tedesco Otfried Preussler, pubblicato per la prima volta nel 1971 con il nome “Krabat”, il protagonista del romanzo. La storia riprende la leggenda originaria di Krabat, diffusa tra i sorbi o sorabi, una popolazione slava occidentale che viveva, nell’Età Moderna, e vive tuttora, nell’attuale zona dell’Alta Lusazia, tra Sassonia e Brandenburgo.

Il romanzo affronta la tematica della magia nera e della tentazione di cedere alle lusinghe del male, contrapponendolo a valori come l’amicizia, l’amore, la solidarietà e la forza di lottare per il proprio futuro.

Tutto ha inizio quando Krabat, un ragazzetto sorabo che campa di furtarelli e piccole truffe, decide di dar retta a una voce udita nella sua mente, che lo invita a raggiungere il mulino di Schwarzkollm, nella foresta di Hoyerswerdam (siamo nella Sassonia del Diciassettesimo Secolo, quando ancora c’era il Principe Elettore a governarla). Il mulino sorge vicino alla palude di Kosel, sulle rive dell’Acqua Nera, ed è un posto sinistro, da cui gli abitanti del luogo si guardano, lo considerano maledetto. Krabat vi si reca e conosce il maestro, che si occupa della gestione del mulino, e i suoi undici apprendisti. All’offerta dell’uomo di diventare il dodicesimo apprendista, Krabat accetta e da allora la sua vita cambierà. Scoprirà il segreto del mugnaio e le arti oscure che vengono praticate nel mulino, conoscerà l’amicizia, il cameratismo con (alcuni) suoi apprendisti e il male nella sua forma più cruda. Ma conoscerà anche l’amore e sarà proprio questo sentimento a salvarlo dal cattivo sentiero.

“Il mulino dei dodici corvi” è una grande favola sullo scontro tra Bene e Male. C’è l’eroe, inconsapevole e all’inizio anche molto ingenuo, ci sono gli amici/aiutanti/mentori, c’è lo shapeshifter (Juro), presentato come tonto e dannoso ma che invece si rivela il più astuto e intelligente di tutti, e c’è l’ombra, il mugnaio maestro del male. E c’è ovviamente la crescita del protagonista, che da ragazzino imberbe e truffaldino si ritroverà a dirigere un tentativo di ribellione ai danni del mugnaio.

Una caratteristica importante dell’opera è il suo trovarsi in bilico tra sacro e profano, grazie a una simbologia, anche numerica, che strizza l’occhio al Cristianesimo; viene subito notato dal lettore attento l’analogia della Scuola di Magia Nera del mulino di Kosel con Gesù e i suoi 12 apostoli, qua sostituiti dai dodici allievi, alias i dodici corvi neri. Anche gli avvenimenti più importanti avvengono in occasione delle festività, in particolare la Pasqua, il Natale e la fine dell’anno, quando l’atmosfera si carica di tensione e oscurità. Questa commistione tra sacro e profano è anche uno scontro tra Bene e Male, tra il tentativo di Krabat di sfuggire l’oscurità (e quanto è bella la Magia Nera! Lui stesso, più volte, lo afferma, arrivando a ritenerla persino utile e divertente, in alcune occasioni) e alle tentazioni del maligno, e invece il bisogno ossessivo del maestro di tenere gli apprendisti a sé, per onorare il patto stretto con il Compare. Da questo punto di vista, è un romanzo di formazione, istruttivo, che mette in guardia sulla pericolosità del male.


Lo stile di Preussler è molto semplice e diretto, a tratti persino fiabesco. La storia segue fondamentalmente Krabat, mostrandoci tutto quello che vede e a cui assiste, le sue scoperte, le sue sconfitte e le sue vittorie.

La struttura ricalca quella del viaggio dell’eroe, con l’eroe, Krabat, che si trova ad affrontare il male (il mugnaio), coadiuvato da alcuni mentori (Tonda, per primo, Juro, poi), tramite progressiva scoperta di sé e del mondo straordinario in cui si è ritrovato a vivere e il superamento di alcune prove (tra cui perdite dolorose).


“Il mulino dei dodici corvi” è un libro che si apprezza per lo stile di scrittura, veloce e leggero, e anche se non brilla per originalità (la struttura, come detto sopra, è quella tipica del Viaggio dell’Eroe), regala comunque bei momenti appassionanti al lettore, che cresce con Krabat. Come Krabat, entriamo nel mulino in punta di piedi, attirati ma al tempo stesso impauriti da quell’energia nera che lo pervade, decidiamo di restare e di apprendere, perché le lusinghe del maestro raggiungono il nostro cuore, perché usare la magia è inebriante, divertente e a volte fa pure risparmiare tempo e fatica. Ma poi, come Krabat, impariamo a conoscere anche il lato oscuro, il dolore e la perdita, e ci rivogliamo agli amici, ai compagni, per proteggerli e per unirci contro il Male. Una piccola grande epopea che si svolge nell’arco di tre anni nella palude di Kosel, ricca di valori che poi compariranno in tanti altri fantasy successivi (da Harry Potter a Percy Jackson). Una storia scritta cinquant’anni fa, sulla falsariga delle leggende sorabe dell’Età Moderna, ma che trascende il tempo fino ad assurgere a storia dal valore universale. Il Bene contro il Male. E in questa guerra ognuno, anche il più piccolo (un apprendista mugnaio) uomo può fare la differenza, se davvero crede nell’onestà del suo agire.

(Mia recensione originariamente apparsa sul sito "Le lande incantate").

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